MALATTIE INFIAMMATORIE INTESTINALI

Da quando le principali Malattie Infiammatorie Intestinali (MII) sono state definite in base ai criteri clinici, gli studiosi si sono cimentati nel tentativo di chiarire i principali processi fisiopatologici che sottendono a tali enigmatici disturbi, mentre i clinici si sono affannati per procurare adeguate terapie per le manifestazioni cliniche spesso preoccupanti.

L’esperienza clinica ha portato alla nozione, per lo più accettata, che il Morbo di Crohn e la colite ulcerosa sono delle patologie distinte, se non addirittura diverse. Tuttavia, se esse sono fondamentalmente malattie diverse o parte di un continuum meccanicistico rimane ancora una domanda non risposta, che presenta implicazioni sia concettuali che di gestione pratica. In effetti, le MII si pensa siano causate da una attivazione impropria e progressiva del sistema immunitario mucosale, stimolato dalla presenza di una flora luminale normale. La risposta aberrante è probabilmente facilitata sia da difetti della funzione di barriera dell’epitelio intestinale che del sistema immunitario della mucosa.

D’altro canto numerose osservazioni cliniche effettuate tra diverse popolazioni e la frequente trasmissione familiare di tali patologie, suggeriscono che i fattori genetici contribuiscono alla suscettibilità alle MII. Numerosi studi hanno suggerito che un parente di primo grado di un paziente con MII abbia un rischio di ammalarsi di circa il 7%.
Un rischio ancora maggiore vi è tra i gemelli omozigoti.

Nell’insieme, gli studi offrono dati convincenti per l’ipotesi che la suscettibilità sia ereditata e che il contributo genetico allo sviluppo della malattia sia maggior per il Morbo di Crohn che per la colite ulcerosa. Tuttavia, l’assenza di una semplice ereditarietà di tipo mendeliano suggerisce che molteplici interferenze genetiche contribuiscano al rischio per un soggetto alle MII.

Negli ultimi 15 anni è stata studiata una ampia serie di geni possibilmente implicati.
Visto che la maggior parte delle associazioni tra geni e MII non sono state riproducibili sperimentalmente, non hanno portato nuova luce alla patogenesi e non hanno facilitato il cammino diagnostico. Gli studi approfonditi sui markers del DNA hanno evidenziato che  le MII sono associate a diverse regioni genomiche e che la maggior parte di queste sono collegate ad entrambe le principali forme di MII. Da qui si evince come il Morbo di Crohn e la colite ulcerosa possano condividere molte caratteristiche genetiche e quindi meccanicistiche.

Lo studio dettagliato del cromosoma 16 ha recentemente identificato il gene responsabile, almeno in parte, di tale collegamento. Gli omozigoti per tale gene sono soggetti ad un rischio 20 volte maggiore di sviluppare il Morbo di Crohn rispetto a soggetti non omozigoti. Anche il soggetto eterozigote risulta essere a rischio. Ulteriori studi, effettuati su gemelli omozigoti, hanno evidenziato che lo sviluppo della malattia dipende comunque da numerosi fattori addizionali.

Tra i molteplici fattori studiati citiamo:

1. L’abuso di farmaci antinfiammatori non steroidei può portare all’esplosione della malattia per alterazione della barriera intestinale;

2. un’appedicectomia precoce che viceversa può ridurre l’incidenza della colite;

3. il fumo che può modificare il fenotipo e quindi può proteggere il soggetto dalla colite ulcerosa, ma può favorire il Morbo di Crohn.


Evidenze sempre più numerose confermano come la flora microbica sia uno dei fattori centrali nello sviluppo delle MII. Questa deduzione si evince da studi sperimentali su animali che collimano con l’esperienza clinica: diversi studi hanno dimostrato la presenza di un maggior numero di batteri aderenti sia alla superficie delle cellule sia nel compartimento intercellulare dell’epitelio colico in pazienti affetti da MII. Tali osservazioni sottolineano l’importanza di definire ulteriormente i meccanismi che interagiscono tra la
mucosa normale e la microflora luminale e le loro possibili alterazioni in relazione alla MII.

Resta ancora da chiarire se l’attivazione del sistema immunitario sia il risultato di un difetto intrinseco o la causa di una stimolazione continuativa. L’attivazione delle popolazioni di cellule immunitarie è accompagnata dalla produzione di una ampia varietà di mediatori non specifici dell’infiammazione (citochine, chemiochine, fattori di crescita e metaboliti dell’acido arachidonico), nonché metaboliti reattivi dell’ossigeno come l’ossido nitrico. Tali mediatori esaltano sia il processo infiammatorio che la distruzione dei tessuti, tipiche manifestazioni cliniche della malattia.

Da quanto affermato possiamo dedurre che nella terapia delle MII, accanto ai farmaci ormai noti ad azione specificamente antinfiammatoria ed antibiotica, si collochino i probiotici e specifiche sostanze anti-citochine (come il infliximab, un’anti-TNF). Notevoli progressi, quindi, sono stati raggiunti negli ultimi anni sia nel definire i meccanismi che sono alla base delle MII, sia nella conoscenza della evoluzione e dell’ ampliamento del ventaglio terapeutico. E’ ragionevole ritenere che, avendo identificato la gamma di geni responsabili della suscettibilità alle MII, l’attenzione debba oggi convergere sui meccanismi attraverso i quali questi geni conducano alla colite ulcerosa ed al Morbo di Crohn.

Una comprensione più completa del problema richiede anche chiarimenti circa la natura delle interazioni con i fattori ambientali e con la microflora. I progressi nel raggiungere tali obiettivi dovrebbero condurre ad una diagnosi più precisa su base genetica e dovrebbero includere anche l’accertamento del rischio presintomatico nei familiari dei pazienti colpiti.
Nel frattempo, il miglioramento delle nostre conoscenze sulla patofiosiologia delle MII, ha portato allo sviluppo di nuove ed utili terapie farmacologiche.

Prof.ssa Maria Antonia Fusco
Presidente ADI